Un'indagine promossa da IVI fotografa la consapevolezza degli italiani su genitorialità, infertilità e possibilità di crioconservare gli ovociti. Non solo per motivi terapeutici, ma anche per necessità socio-economiche
L’
età in cui si cerca il
primo figlio sta aumentando sempre di più.
Diventare genitori oggi è più complicato per tanti motivi: i cambiamenti della società e della figura della donna, le difficoltà economico-sociali, la possibilità di fare scelte diverse, i progressi della scienza. Affacciarsi alla
maternità intorno ai
35-40 anni, però, porta con sè una grande
conseguenza: le problematiche legate all’
infertilità.
La fertilità inizia a calare dopo i 30 anni
Infertilità di cui non si è tanto consapevoli: secondo un’
indagine condotta da
Ixè e commissionata dall’
Istituto Valenciano per l’Infertilità (IVI), quasi
2 persone su 10 ritengono che la
fertilità della donna inizi a
ridursi dai
46 ai 50 anni e un ulteriore
11% (in misura superiore gli uomini)
dopo i 50 anni. In realtà,
il calo inizia dopo i 30 anni e diventa importante già nei cinque anni successivi. Risultati sconfortanti sono emersi anche in relazione alle
cause dell’infertilità: solo
pochi citano le
malattie sessualmente trasmissibili.
Le scelte di fronte ai problemi di infertilità
Il
campione si spacca a
metà, invece, di fronte alla scelta da prendere in caso di
difficoltà a concepire. Il
49% opterebbe per l’
adozione (soprattutto persone che hanno già avuto figli), il
48% per la
fecondazione assistita (risposta diffusa tra chi invece non è ancora genitore). Tra chi vaglia il ricorso alla fecondazione assistita, il
37% accetterebbe anche la
donazione eterologa, soprattutto le donne, più degli uomini, e i
25-29enni.
La conoscenza del social freezing
Nell’indagine si inserisce anche il tema del
social freezing, cioè la
crioconservazione degli ovociti non per motivi terapeutici, ma per
necessità sociali (lavoro, mancanza del partner, difficoltà socio-economiche). Dalla ricerca è emerso che
solo il
17% degli intervistati
sa che si può accedere al social freezing
in Italia (il 37%, infatti, lo ignora), mentre il
20% crede che qui
non sia consentita.
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