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Cosa vuol dire diventare mamma dopo i 40 anni

Cosa vuol dire diventare mamma dopo i 40 anni

Tra scelta e necessità, l’età per avere un figlio si è spostata in avanti, quando, però, la curva della fertilità diminuisce. Le tecniche di procreazione medicalmente assistita guardano sempre più al futuro e rappresentano un concreto aiuto per molte donne

Quarant’anni, per le donne il raggiungimento degli “anta” è sempre stata una soglia fatidica. Non solo per l’invecchiamento, ma perché quest’età, con tutte le eccezioni possibili, segna convenzionalmente il limite per la possibilità di diventare mamme. Una data che sembra meno lontana di una volta: oggi, avere un figlio dopo i 35 anni, è una condizione di necessità e di scelta alla quale, oltre alla difficoltà economica, quest’anno si aggiunge anche l’incertezza legata alla pandemia che ha scongiurato l’effetto babyboom immaginato dai più ottimisti.

Nel 2021, l’Istat teme un calo delle nascite. Le cause sono la crisi economica e la mancanza di sicurezza con cui affrontare il futuro. A rimandare i progetti di vita, però, pesano sempre di più i limiti fisiologici.  Dopo i 35 anni, infatti, la curva della fertilità femminile è in declino. «Secondo l’American Society for Reproductive Medicine, la possibilità di concepire spontaneamente all’età di 40 anni è pari al 5% ad ogni ciclo, purché la donna ovuli regolarmente e l’uomo abbia una qualità seminale sufficiente», afferma la Dottoressa Daniela Galliano, medico chirurgo in ginecologia, ostetricia e medicina della riproduzione, Direttrice del Centro IVI di Roma, clinica nata in Spagna e presente in 9 Paesi del mondo.

«Per la madre c’è un rischio maggiore di diabete gestazionale e ipertensione associata alla gravidanza, che possono essere trattati. Anche il rischio di parto cesareo è più elevato, così come quella di parto prematuro. E il rischio di aborto nel primo trimestre aumenta esponenzialmente a partire dai 35 anni», dice la dottoressa Galliano.

La posticipazione nella ricerca della gravidanza ha aumentato il ricorso alla medicina della fertilità. Quando si parla di procreazione medicalmente assistita (PMA) eterologa entra in gioco una questione emotiva ben più complessa dell’ordinario fatto di desiderare un figlio. È un cammino faticoso, dove il fattore tempo, soprattutto verso i 40 anni, gioca un ruolo importante, ma il fatto che sia un percorso condiviso da migliaia di coppie, fa sentire emotivamente meno soli.

Secondo i dati del ministero della Salute, nel 2017 le cure di procreazione medicalmente assistita hanno riguardato 78.366 coppie. E sempre nello stesso anno, considerando tutte le tecniche di PMA, sia di I livello (inseminazione), che di II e III livello (fecondazione in vitro) con o senza donazione di gameti, i bambini nati sono stati 13.973. Dal 1978, anno della prima nascita tramite fecondazione in vitro, la medicina della fertilità è entrata in una nuova era con tecniche sempre più evolute per supportare le coppie nel loro desiderio di avere un figlio.

L’età di chi si rivolge a un centro di procreazione medicalmente assistita è in progressivo aumento, nelle Cliniche IVI, per esempio, l’età media dei pazienti è di 37 anni.

Se da una parte tra i 35 e i 40 anni i rischi legati alla gravidanza tardiva aumentano, dall’altra le future mamme possono godere di benefici unici. L’aspetto che riguarda i sacrifici necessari molte volte rischia di oscurare la vitalità di cosa vuol dire diventare mamme negli “anta”. Un viaggio che ringiovanisce grazie alla gioia e alla rivoluzione psicologica che l’arrivo di un figlio porta con sé. Un bimbo tanto atteso, che ha avuto molto tempo di prendere forma nelle mente e nei desideri della futura mamma, genera un’attitudine di piena consapevolezza ma soprattutto di speranza.