In Spagna le donatrici devono seguire un iter di controlli molto rigido. Le candidate che si presentano all'Ivi hanno un'età compresa tra i 18 e i 35 anni. L'idoneità alla donazione viene stabilita in una prima fase attraverso un'intervista personale e un colloquio con lo psicologo. Chi supera questo primo 'screening' viene sottoposto ad accertamenti clinici: ecografia, visita ginecologica, esami del sangue. Solo il 30% passa alla fase successiva, quella dei controlli sul cariotipo e del test di compatibilità genetica per verificare se siano presenti alterazioni cromosomiche che potrebbero portare a malattie genetiche nei nascituri. "Scriniamo 600 patologie - spiega Daniela Galliano, direttrice di Ivi Roma - e il test si può fare anche all'uomo della coppia che chiede l'ovodonazione per evitare che si incrocino portatori sani".
Ci sono delle regole precise "finalizzate a tutelare in tutto e per tutto non solo le coppie, ma anche la donatrice - chiarisce Antonio Pellicer, presidente di Ivi - E' previsto che le ragazze possano sottoporsi a un massimo di 6 cicli, con un tetto massimo di 6 figli compresi i propri. Sicuramente il fatto che la donazione venga ricompensata è un incentivo, ma la cifra che viene corrisposta è limitata per evitare che l'ovodonazione venga vissuta come una 'professione'. Quello che sostiene la pratica della donazione di ovuli in Spagna è anche un fattore culturale: il Paese è in generale primo per la donazione di organi in tutto il mondo. E il terzo punto fondamentale è l'anonimato".
Al termine dei test l'identikit dell'ovodonatrice Ivi è quello di una ragazza tra i 25 e i 26 anni in media, per la metà con figli; un terzo studia all'università, un terzo frequenta il liceo, circa il 40% è sposata o convive. (segue)