Biografia

«Noi, che aiutiamo le donne a diventare madri»

«Noi, che aiutiamo le donne a diventare madri»

Nel Fertility Day, la direttrice della clinica della riproduzione assistita IVI, Daniela Galliano, ci spiega che cosa cercano e quali timori e aspettative hanno le donne che si rivolgono al suo centro. Lei, che è appena diventata mamma a 39 anni, rivela che cosa ne pensa della campagna ministeriale per la fertilità

Lei, che aiuta le donne a diventare madri, ha appena avuto una bambina. Daniela Galliano, 39 anni, è la direttrice di IVI (Instituto Valenciano de Infertilidad), clinica di riproduzione assistita di Roma. Nel giorno del Fertility Day, la prima giornata nazionale dedicata all'informazione e formazione sulla fertilità, ci spiega quali sono le aspirazioni, i timori e i problemi delle donne che si rivolgono alla sua clinica.

«Dietro la richiesta di riuscire ad avere un bambino – spiega -, che nelle donne che arrivano da noi dopo anni di tentativi falliti è molto forte e sentita, si nasconde sempre anche una richiesta di aiuto, di supporto, di protezione.

I problemi di infertilità hanno quasi sempre un'origine fisiologica o patologica, ma sarebbe sbagliato non considerare la sfera emotiva delle pazienti».

Secondo la dottoressa, «chi cura l'infertilità deve essere in grado di gestire ansie e paure profonde. Il trattamento ha sempre importanti risvolti intimi e personali che, in tanti modi diversi, completano la richiesta di procreazione».

Di che cosa hanno bisogno le donne che si rivolgono a lei?

«Vogliono essere rassicurate e guidate. Vogliono capire cosa dovranno fare, quali saranno gli effetti e i risultati attesi. A volte, specie nei casi di infertilità che durano da molto tempo, i problemi sorgono quando inizia a mancare la fiducia in se stesse o nelle tecniche».

Capita che si tirino indietro?

«Raramente ho visto una donna o una coppia rinunciare facilmente al desiderio di avere un figlio. Del resto chi ha scelto di ricorrere alle tecniche mediche ha già valutato le difficoltà che ogni iter medico comporta: sono persone molto determinate, pronte a mettersi in gioco e a usare tutte le carte. Ho conosciuto e aiutato coppie che erano arrivate allo studio con 5 o 6 tentativi falliti e una lunga storia di centri e medici diversi. Eppure neanche di fronte a queste obiettive difficoltà rinunciavano alla speranza».

Ma a volte è il caso di fermarsi.

«Ci sono condizioni in cui, per età o per patologie specifiche, non ha più senso, dal punto di vista medico, persistere nella ricerca di un concepimento, con ovuli propri o con quelli di donatori. Il nostro dovere di medici non è solo quello di illustrare la situazione e fornire indicazioni mediche e fisiologiche, ma di farci carico anche degli aspetti psicologici che l'impossibilità di procreare comporta».

Una paziente che si è fatta ricordare?

«Ce ne sono così tante che mi è difficile ricordarne una in particolare. Ma mi piace citare una donna, campana: io cercavo di spiegare il meccanismo che era alla base dell’analisi pre impianto. Di fronte al compagno che mi guardava interrogativo, semplificò con un proverbio napoletano che riusciva a dare il senso di quella tecnica: «Scegliere il meglio per prevenire problemi». Rimasi senza parole: a volte i pazienti hanno delle risorse insospettate per noi medici».

La questione dell’orologio biologico è davvero così importante?

«Sì: quando si decide di avere un figlio dopo i 40 anni il rischio principale è rappresentato da possibili “errori” nelle sequenze genetiche a carico del feto. Del resto, oltre a problemi fisiologici dovuti alla conformazione o a patologie che colpiscono gli organi riproduttivi, la maggior parte dei casi di infertilità deriva da problemi degli ovuli o degli spermatozoi che sono spesso collegati all’età».

Quali sono le perplessità delle donne, oggi, rispetto alla fecondazione assistita? «Le coppie che arrivano da noi hanno una conoscenza limitata del problema infertilità e delle possibili soluzioni. Le perplessità quindi, o forse meglio dire i timori, riguardano l'esistenza di tecniche alternative o la confidenza limitata con i meccanismi di stimolazione».

Che cosa ne pensa della campagna ministeriale sulla fertilità?

«Condivido il punto di vista del ministero sul fatto che la fertilità e la sua tutela hanno un valore medico. Di più: l'innalzamento dell'età delle primipare ha conseguenze economiche e sociali importanti, dall'eccesso di ricorsi ai parti cesarei all'aumento delle patologie neonatali. Questi sono tutti problemi politici ed è quindi giusto che un governo si occupi del tema fertilità».

E della scelta comunicativa?

«Penso che molte delle polemiche fossero ingiustificate. La campagna è stata accusata di essere sessista perché si occupava solo di fertilità femminile, ma si parlava anche dei problemi maschili, che rappresentano circa un quarto delle cause dell’infertilità di coppia. Sulla più discussa delle immagini della campagna, quella della clessidra per intenderci, penso che un fatto vero e indiscutibile, cioè che dopo i 40 anni peggiora sia la qualità che la quantità della riserva ovocitaria, abbia fornito lo spunto per polemiche sociologiche e politiche. E capisco chi chiede allo Stato politiche a supporto della natalità e della genitorialità».

Perché oggi, rispetto al passato, sono aumentate le coppie che hanno difficoltà ad avere figli?«La risposta non è una sola. Ci sono diversi fattori. Certamente diverse patologie che hanno influenza sul sistema riproduttivo che sono in forte crescita, da alcune forme tumorali all'endometriosi. Poi, da un punto di vista sociale, il fatto che il momento della piena autonomia dei giovani venga sempre più posticipato rende più difficile riuscire a procreare quando finalmente ci si sente pronti».