Un recente studio, condotto da IVI e dall’Ospedale La Fe di Valencia, su un campione di 1.759 pazienti (1.024 vitrificazioni di ovociti e 735 crio-preservazioni della corteccia ovarica) rivela che non esistono differenze significative in tema di nuovi nati: questo significa che entrambe le tecniche hanno praticamente la stessa efficacia. Di tutte le pazienti che hanno preservato la propria fertilità, sono state prese in considerazione quelle che hanno utilizzato il proprio materiale vitrificato per tentare di rimanere incinte. In questo studio, i cui risultati sono stati presentati a Ginevra in occasione della XXXIII edizione del Congresso ESHRE, sono stati messi a confronto i risultati delle pazienti che avevano devitrificato i propri ovociti con quelli delle donne che si erano sottoposte ad un trapianto di corteccia ovarica. La conclusione di questo confronto è che tra i due trattamenti non esistono differenze significative nella percentuale dei neonati. “È molto importante indicare bene le tecniche a ciascuna paziente, dato che non tutte possono beneficiare delle stesse”, dichiara il dott. César Díaz, ginecologo di IVI Valencia e uno dei principali autori dello studio. L’obiettivo è individuare e adattare ogni trattamento in funzione delle necessità delle pazienti. “Se c’è tempo sufficiente prima di iniziare la chemioterapia, la paziente ha una riserva ovarica accettabile e ha già iniziato la pubertà, probabilmente la cosa migliore sarà effettuare una vitrificazione degli ovociti, dato che, alle stesse condizioni per ciò che si riferisce alla percentuale di neonati, questa tecnica è meno aggresiva.”
“La crio-preservazione della corteccia ovarica, d’altro canto – afferma la dott.ssa Daniela Galliano, Direttrice del Centro IVI di Roma – è da consigliare alle pazienti in età pre-puberale, per quelle che ancora non hanno avuto il ciclo mestruale e per le quali risulta complicata la stimolazione e, di conseguenza, il recupero degli ovociti. Anche nelle pazienti con tumori molto aggressivi, come il linfoma di Burkitt, nel cui caso non c’è tempo sufficiente per stimolare le ovaie prima di iniziare la chemioterapia.”
VITRIFICAZIONE DI OVOCITI
La vitrificazione di ovociti consiste nella stimolazione delle ovaie con ormoni simili a quelli che produce la paziente, per poi poter estrarre gli ovuli dalle ovaie mediante un ago molto fino, con un procedimento che richiede solo una minima sedazione. In seguito, gli ovuli vengono conservati mediante un raffreddamento ultra-rapido, che evita la formazione di cristalli di ghiaccio, proteggendo così gli ovuli per tutto il tempo che sia necessario (anche decenni). Si tratta dello stesso metodo che viene utilizzato per preservare ovuli nelle pazienti che vogliono posticipare la maternità per motivi di lavoro o personali. Una volta guarita dal cancro, la paziente potrà utilizzare questi ovuli per fecondarli con il liquido seminale del partner o di un donatore per generare un embrione che verrà impiantato nell’utero della paziente.
CRIO-PRESERVAZIONE DELLA CORTECCIA OVARICA
Consiste nell’estrarre un frammento della superficie delle ovaie mediante una chirurgia minimamente invasiva (laparoscopia). Il procedimento dura più o meno 20 minuti, e la paziente può tornare a casa o iniziare la chemioterapia già alcune ore dopo. Successivamente il tessuto viene congelato e messo da parte per gli anni che siano necessari. Se la paziente presenta un problema alle ovaie, si potrà tornare ad impiantare lo stesso tessuto con una nuova operazione, recuperando nuovamente la sua funzionalità, sia dal punto di vista della fertilità sia dal punto di vista della produzione di ormoni (farebbe regredire la menopausa conseguente a numerosi dei trattamenti oncologici). Allo stesso tempo consente la gestazione spontanea, senza dover ricorrere a tecniche di fecondazione in vitro.